Il “Millantare credito” veniva inizialmente interpretato come vanteria di un’influenza inesistente, idonea a ingannare il cosiddetto compratore di fumo, il quale, credendo alle parole del millantatore, dava il denaro destinato a compensare la presunta mediazione.
Successivamente, considerato che il reato di cui all’art. 346 c.p. è stato concepito per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l’attenzione sulla condotta dell’agente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come persone venali, inclini ai favoritismi, cosicché si è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rileva è la vanteria dell’influenza sul pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della pubblica amministrazione.
Successivamente, considerato che il reato di cui all’art. 346 c.p. è stato concepito per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l’attenzione sulla condotta dell’agente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come persone venali, inclini ai favoritismi, cosicché si è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perché ciò che rileva è la vanteria dell’influenza sul pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della pubblica amministrazione.
A questo punto si deve tener conto dell’entrata in vigore della Legge n. 190, del 2012, che, senza toccare l’art. 346 c.p., ha aggiunto la nuova fattispecie di reato denominata “traffico di influenze illecite“, che fissa come presupposto della ricezione del denaro chiesto come prezzo della mediazione propria o come retribuzione per il pubblico ufficiale “lo sfruttamento delle relazioni esistenti” con quest’ultimo. Ai sensi dell’art. 346 bis c.p., autore del reato non è più chi millanta influenze (non importa se vere o false), ma unicamente chi sfrutta influenze effettivamente esistenti (il che giustifica il diverso trattamento riservato a chi sborsa denaro ripromettendosi di trarne vantaggio: non punibile nel primo caso, che ha per protagonista un millantatore puro sedicente faccendiere, concorrente nel reato nel secondo caso, che vede all’opera un faccendiere vero, realmente in contatto con il pubblico ufficiale). Ne deriva che i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012, nei quali il soggetto attivo ha ottenuto la promessa o dazione del denaro vantando un’influenza sul pubblico ufficiale effettivamente esistente (che pacificamente ricadevano sotto la previsione dell’art. 346 c.p.), devono ora essere ricondotti nella nuova fattispecie descritta dall’art. 346 bis c.p., che, comminando una pena inferiore, ha realizzato un caso di successione di leggi penali regolato dall’art. 2 c.p., 4 comma, con applicazione della norma più favorevole al reo.
Si tratta di un risultato paradossale determinato da una riforma presentata all’insegna del rafforzamento della repressione dei reati contro la pubblica amministrazione, che ha prodotto, come in questo caso, l’esito contrario. Invero, mentre l’art. 346 c.p., 1 comma, stabilisce la pena della reclusione da uno a cinque anni, l’art. 346 bis c.p. commina la reclusione da uno a tre anni, ossia una pena il cui massimo edittale, nel caso di affermazione della responsabilità penale, comporta l’irrogazione di una sanzione meno severa e, quanto agli effetti sulla disciplina cautelare, preclude l’applicazione di qualsivoglia misura coercitiva. Questo, dunque, il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità: “Le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, condotte finora qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell’art. 346 c.p., commi 1 e 2, devono, dopo l’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012, in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell’art. 346 bis c.p., che punisce il fatto con pena più mite”.
Quest’ultimo illecito penale (Traffico di influenze illecite), che non esisteva finché Maria Angiolillo (la regina dei salotti romani e delle mediazioni era in vita (2009), è stato introdotto in Italia, come detto in precedenza, nel 2012 dalla Legge Severino. Trattasi di una fattispecie penale molto pericolosa perchè, allo stato, non abbiamo una legge che definisce cosa sia una “mediazione”. Basta dire con un privato “Ti faccio conoscere mio padre Presidente del Tribunale di Roma” e basta che il privato fa un regalo banale a te, a tua moglie o ai tuoi figli per essere incriminato e messo alla gogna. Il reato per come è stato strutturato dal disastroso Governo Monti, che ha aiutato solo le banche tartassando di tasse i cittadini, ha un deficit di tipicità e lascia nelle mani dei magistrati un ampia discrezionalità. Ciò rappresenta un “arma di ricatto” non conforme al principio di legalità, che informa il nostro ordinamento giuridico. Da qui, a mio modesto avviso, l’incostituzionalità dell’art. 346 bis c.p., perché la norma di legge in esame non rispetta l’elementare esigenza di certezza del diritto: non è possibile che la stessa condotta per la Procura di Roma sia reato e per un’altra Procura italiana sia fatto penalmente irrilevante.
Dura lex, sed lex.
Avv. Luigi Iosa